L’Acceptance and Commitment Therapy/Training (ACT) di S. Hayes

Il modello ACT individua in sei processi mentali i fattori che contribuiscono in maniera più determinante alla sofferenza psicologica – pur considerando quest’ultima qualcosa di inevitabile, in qualche misura, per l’essere umano. Parallelamente, l’ACT delinea i sei processi che caratterizzano un approccio funzionale e favoriscono il benessere psicologico.

L’ACT è un modello circolare ma, per comodità, partiamo da una riflessione su cosa occupa il nostro pensiero per la maggior parte del tempo.

Le nostre menti sono spesso orientate al futuro temuto (preoccupazioni) e al passato (ruminazioni), allontanandoci dal contatto con il momento presente.

Tipicamente cadiamo in quella che viene detta “fusione cognitiva” – ovvero il vedere i nostri pensieri, “regole” ed emozioni come realtà oggettive, dati di fatto.

Similmente, tendiamo a identificarci con un “sé concettualizzato”, ovvero restiamo fossilizzati nelle nostre idee di noi e del mondo, anche quando queste non sono funzionali.

Questi elementi di inflessibilità cognitiva, per l’ACT, contribuiscono alla sofferenza emotiva tramite meccanismi di evitamento e di disconnessione dai propri valori.

L’ACT, infatti, si basa sul concetto che molto del nostro disagio origina dal tentare di evitare ciò che è spiacevole, come ad esempio l’ansia o le nostre paure di fallire.

Per evitare le emozioni spiacevoli, ci dedichiamo tipicamente ad attività che ci danno un momentaneo sollievo – spesso con comportamenti automatici o impulsivi.

Inoltre, sotto l’influenza di pensieri poco funzionali o con lo scopo inconscio di evitarci potenziali fallimenti, tendiamo a restare in una sorta di stasi, o comunque autolimitiamo le nostre attività e scelte.

Tutto questo risulta in un certo grado di autosabotaggio rispetto al dedicarci a ciò che davvero conta per noi. Ci porta inoltre ad essere meno flessibili, a toglierci gradi di libertà e ad essere meno o poco in contatto con i nostri personali valori, con ciò che conta per noi.

Meno realizziamo ciò che conta per noi, più ci allontaniamo da chi vogliamo davvero essere; più facciamo questo, più stiamo male; peggio stiamo e più rafforziamo questo ciclo dell’evitamento.

Questi fattori sono riassunti nel cosiddetto inflexahex.

L’ACT propone di spezzare questo circolo vizioso, coltivando i sei processi opposti a quelli delineati sopra.

L’unica opzione valida per non cadere nell’evitamento e quindi nel ciclo dell’inflexahex è identificata nei due processi che danno il nome all’approccio terapeutico. Questi non sono due passaggi consecutivi, ma due elementi caratterizzanti il modo più funzionale di affrontare il proprio quotidiano.

Il primo processo consiste nell’accettare pensieri ed emozioni spiacevoli (acceptance) vedendoli per quello che sono, senza identificarsi con essi o prenderli per oggettivamente veri – praticando cioè la “defusione congnitiva”.

Il secondo processo comporta il portare con sé tali elementi spiacevoli mentre si procede consapevolmente e con metodo in direzione dei propri valori, di ciò che davvero conta per il singolo (commitment, azione impegnata). 

Per coltivare l’accettazione, l’ACT si avvale anche della pratica della Mindfulness, con cui condivide la centralità del contatto con il momento presente, la presa d’atto delle cose così come si presentano; la pratica della defusione cognitiva, la coltivazione di un sé osservante (detto anche sé come contesto nell’ACT) – invece di un sé totalmente fuso con i pensieri, i ricordi e le idee preconcette.

Il filone di lavoro parallelo è quello dell’identificazione dei propri valori (intesi come ciò che conta per il singolo, non in senso tradizionale) e dell’azione impegnata concretamente in direzione di questi stessi valori.

Tutti questi processi sono rappresentati graficamente nel cosiddetto hexaflex.

L’aspetto innovativo di questo approccio, che lo collega alla Psicologia Positiva, è il fatto di concentrarsi sul perseguimento di ciò che conta per il singolo nonostante eventuali stati interni negativi iniziali, anziché cercare di eliminare completamente i vissuti negativi come condizione preliminare per procedere verso ulteriori obiettivi.

Per quanto possa apparire controintuitivo, questo approccio ha ricevuto un solido riscontro nella ricerca e nella pratica clinica.