Paul Gilbert notò che in molte psicoterapie, non si raggiungeva il beneficio sperato e decise di indagare le cause del fenomeno. Giunse a focalizzarsi sul ruolo delle emozioni negative riferite a se stessi (colpa, autocritica e vergogna) come fattori critici di ostacolo alla resilienza, alla guarigione psicologica e al benessere in generale.
Da tali studi, Gilbert ha formalizzato la Terapia Focalizzata sulla Compassione (CFT), che si è tradotta anche in vari training fuori dal contesto clinico.
La CFT lavora con i tre sistemi di regolazione affettiva della nostra mente – sistemi che hanno basi biologiche ed evolutive: il sistema di protezione dalla minaccia, il sistema di ricerca di stimoli e risorse, il sistema calmante o lenitivo.
Il sistema calmante – quello che ci permette di essere sereni, sentirci al sicuro, essere benevoli verso noi stessi e verso gli altri e godere di quanto abbiamo nella vita – può essere tenuto in scacco dal sistema di difesa e ricevere interferenze dal sistema di ricerca.
L’accesso e l’attivazione del sistema lenitivo dipendono da segnali di affetto, gentilezza e accoglienza – trattandosi di un sistema di regolazione di origine relazionale.
L’approccio della CFT mira a riequilibrare i tre sistemi di regolazione affettiva. Particolare enfasi viene data al riconnettere l’individuo con il sistema lenitivo, tramite lo sviluppo di specifiche emozioni positive riassunte nel concetto di “compassione”. Questo costrutto è inteso come qualità di gentilezza e accoglienza non-giudicante, non in senso pietistico. Quando tali emozioni sono rivolte intenzionalmente verso di sé, si parla di autocompassione, filone sviluppato in particolare da Kristin Neff.
La terapia e i training focalizzati sulla compassione incorporano tecniche come la mindfulness, enfatizzandone la qualità non-giudicante e accogliente, oltre a vari esercizi di visualizzazione, immaginazione e scrittura.